Da diversi anni chiunque ha potuto notare la crescente presenza di messaggi e informazioni ambientali nelle confezioni dei prodotti di uso quotidiano. Informazioni che spesso riportano anche riferimenti circa gli impatti ambientali del prodotto stesso. “Sostenibile”, “Eco-Green”, “Eco-friendly”, “Ecologico”, “Impronta di CO 2 ridotta”… sono ormai termini e definizioni che mettiamo nella borsa della spesa assieme ai prodotti di largo consumo.
Purtroppo, alcuni di questi termini “ecologici” possono risultare furbi, alle volte ingannevoli e, in casi estremi, persino fraudolenti. “Senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione” diceva W. E. Deming, ed il crescente fenomeno di dichiarazioni ambientali generiche ed ingannevoli poggia proprio su questo principio.
Un’asserzione ambientale generica, non supportata da marchi di sostenibilità certificati, carente di dati e dettagli, manchevole di riferimenti a normative e leggi, può essere mal interpretata dal consumatore finale che potrebbe optare per un prodotto ecologico quando di ecologico ha solo l’etichetta con alcune parole chiave ben piazzate o grafiche con colori rasserenanti.
La normativa contro il Greenwashing
Questo fenomeno può essere definito “Greenwashing”: comunicare una parvenza di sostenibilità ambientale attraverso informazioni incomplete, senza riferimenti di paragone, parziali, generiche o addirittura false. Per questo motivo l’Unione Europea ha recentemente aggiornato la normativa riguardante la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione (Direttiva UE 2024/825).
La normativa non si riferisce solo a informazioni ed asserzioni ambientali, ma anche ad aspetti relativi alla circolarità, durabilità, riparabilità e riciclabilità di un prodotto fino all’aspetto della “durabilità programmata” a favore della sostituzione piuttosto che riparazione ed il vasto argomento della garanzia (totale o parziale) di un bene. Un cittadino ben informato potrà avere dunque qualche dettaglio in più per
non rischiare di cadere nei trabocchetti, premeditati o no, del Greenwashing.
Il fenomeno delle comunicazioni ambientali corrette, complete, coerenti e confrontabili non è assolutamente un argomento di facile gestione. Alla fine del 2023 la stessa Hein Schumacher (CEO di Unilever) ha rivelato in un appello agli investitori che lo sguardo dell’azienda sarà prossimamente rivolto a riorientare i propri obiettivi di sostenibilità affinché siano meno ambiziosi e più tangibili.
Sono dunque assolutamente necessarie informazioni chiare e comprensibili riferite a dati consolidati ed operatori attendibili che conoscono in dettaglio la comunicazione ambientale i quali spesso, per l’obiettivo di un’economia realmente circolare, uniscono le proprie forze in modo sinergico.
Un consorzio alleato del consumatore
Un consolidato esempio di sinergie è il Consorzio C.A.R.P.I (Consorzio Autonomo Riciclo Plastica Italia) che nasce nel 2007 dalla volontà di alcuni imprenditori di riunire diverse aziende italiane operanti nel settore della filiera del recupero, riciclaggio e trasformazione dei rifiuti in materiale plastico provenienti da superficie privata. C.A.R.P.I. è in grado di rappresentare e supportare i players della filiera del recupero, del riciclo, della trasformazione per favorire una gestione ambientale compatibile e sostenibile dei rifiuti in plastica e garantire soprattutto il corretto fine vita dei rifiuti creando nuove risorse.
Clicca su link in basso per accedere direttamente alla Direttiva UE 2024/825 in lingua italiana:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202400825&qid=1717769236718